I servizi di educazione e cura per la prima infanzia di qualità sostengono il successo scolastico di bambini e bambine e contribuiscono a ridurre le disuguaglianze sociali e il divario di competenze tra bambini provenienti da contesti socio-economici differenti. L’equità nelle condizioni di accesso è inoltre essenziale per garantire che i genitori, soprattutto le madri, dispongano della flessibilità necessaria per inserirsi, o re-inserirsi, nel mercato del lavoro.

Ecco allora che il tema dell’accessibilità dei servizi per la prima infanzia assume una rilevanza cruciale: si tratta infatti di rendere “fruibile” con facilità a qualsiasi “possibile utente” tali realtà educative, rimuovendo le “barriere” che ostacolano la frequenza, creando le condizioni volte a favorirne la desiderabilità. In un certo senso, la desiderabilità è la condizione sine qua non dell’accessibilità: per prima cosa, infatti, le famiglie devono “voler” iscrivere al nido un bambino o una bambina, anche in assenza della pressione di un bisogno; occorre dunque eliminare non solo le barriere “visibili” (le difficoltà burocratiche legate all’iscrizione, l’elevato costo delle rette…) ma anche quelle “invisibili”, più connesse alla leggibilità della progettualità pedagogica ed educativa dei servizi, delle relazioni fra adulti e fra adulti e bambini. Per eliminarle, bisogna prima vederle, riconoscerle e dare loro un nome. Gli studi sull’accessibilità in ambito nazionale e internazionale offrono preziose indicazioni e direzioni di lavoro in tal senso. Tali studi ci dicono che le barriere che agiscono come deterrente non intenzionale possono essere riconducibili alla rigidità delle pratiche d’iscrizione e alla difficoltà di reperire informazioni, soprattutto da parte dei nuclei famigliari che vivono in situazioni di vulnerabilità e marginalità o che, per recente immigrazione, non conoscono ancora il sistema educativo italiano o anche solo la lingua scritta. Una prospettiva sistemica, tesa a integrare e mettere sempre più in rete i servizi educativi e quelli socio-sanitari potrebbe fungere da amplificatore delle possibilità offerte dal territorio e degli strumenti per accedervi e fruirne pienamente.

Consultori, pediatria ma anche centri per bambini e genitori e spazi gioco potrebbero contribuire al progressivo avvicinamento delle famiglie ai servizi tradizionali. Anche i poli per l’infanzia 0-6 potrebbero svolgere un grande lavoro di supporto all’accesso al sistema pre-scolastico, offrendo un percorso educativo unitario già nei primi anni di vita. La sfida prioritaria è quella che si gioca sul piano dell’identità pedagogica ed educativa di nidi e scuole in una prospettiva inclusiva, orientata a superare approcci ancora troppo declinati in termini monoculturali. Se è vero che è necessario abbattere le barriere che rendono poco fruibile la frequenza, è anche necessario incidere sui fattori che rendono i servizi “poco desiderabili” e il non riconoscimento delle proprie istanze e rappresentazioni rispetto a ciò che è “bene” per i propri figli nelle progettualità pubbliche è una di queste.

Infine, è necessario creare la condizioni affinché bambini e famiglie, una volta entrati nel servizio, vi rimangano. Rimettere al centro della progettualità i bambini e le loro famiglie, riconoscendo le pluralità del qui ed ora e superando la cristallizzazione dell’ideale e della tipizzazione, è l’unica possibilità per superare concretamente lo scarto tra ciò che le famiglie si attendono, sul piano materiale ma anche simbolico, entrando in un servizio per l’infanzia e ciò che percepiscono di raccogliere. Lavorare sull’accessibilità non può che portare a rivedere il proprio progetto educativo in chiave partecipativa, facendo spazio alle istanze portate dalle famiglie e dai bambini e rilanciandole nell’agito quotidiano. Servizi educativi e scuole possono essere capaci non solo di accogliere (dentro) ma anche di andare incontro e raggiungere (fuori) chi la soglia non l’ha ancora varcata.


Lucia Balduzzi – Professoressa ordinaria di Didattica e Pedagogia speciale, Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin”, Università degli Studi di Bologna